VIDEOCONFERENZA DEL 21 MAGGIO 2021 sul romanzo "Anni Collaterali", M. Ursano (2020) Classe III G

Video Michele




 

Recensione - Lumle

 

Marco Ursano nasce nel 1967 a La Spezia; scrittore e giornalista, nel giugno del 2020, pubblica il romanzo, “Anni Collaterali” (MdS Editore, Pisa).

Ma, già a partire dal 2005, lo scrittore dà inizio alla sua carriera. “L’amore romantico non muore mai” è un romanzo giallo, incentrato sulla coincidenza e sulla predestinazione: parole chiave «ragione e istinto»; situazioni rappresentate: «sogni infranti», sempre e comunque autentici; “L’estate di Galantini - Spezia 2 - Genoa 0 -” pone a contrasto il goal al Genoa con le indagini per omicidio di un poliziotto tifoso; “Giuseppe di Vittorio a La Spezia” si riferisce alla storia di Giuseppe di Vittorio, sindacalista e antifascista; “Verso il deserto” segue il classico genere della narrativa; “Cronache dalla seconda guerra dell’acqua” mette in “scena” uno scontro sull’acqua, che potremmo definire “profetico”: il Nord e il Sud sono in conflitto, perché l’esercito padano assedia l’acquedotto barese, il più grande d’Europa, ma incontra resistenza; “Il mare capovolto” è una raccolta di racconti, ambientati sul mare delle Cinque Terre e a Marina di Pisa: la corrispondenza tra paesaggio e personaggio è, in questo caso, molto evocativa; “Edelweiss” è una favola ambientata in una metropoli occidentale, che, pur avendo tutto il “sapore” del thriller, è intrisa di poesia e richiami all’era della globalizzazione: il romanzo vede protagonista una ragazzina bellissima, scampata alla guerra, che vive di espedienti e che dovrà “combattere” con uno spietato mercenario a fine carriera. Edelweiss, con coraggio, si carica sulle spalle il destino degli ultimi, nei bassifondi di una grande città del Nord. Nel romanzo aleggia la speranza del riscatto dal potere, dalla violenza e dal consumismo.

Con il racconto “Andata e Ritorno”, l’autore è tra i finalisti del premio “Orme Gialle” di Pontedera, dedicato alla narrativa poliziesca, al thriller e al giallo, e diretto da Carlo Lucarelli; nel 2015, la storia di “Franco Serantini” viene inserita nell’antologia “Vituperio delle genti”: il contesto politico di riferimento, in questo caso, richiama la sinistra anarchica degli anni Settanta.

Ma andiamo al vivo di quanto, con entusiasmo, abbiamo letto.

La narrazione di “Anni Collaterali” si dilata su un arco temporale di quattro decenni, segnati da quattro eventi significativi, che fanno da cornice al percorso di crescita di Edipo, il protagonista: la fitta nevicata del 1985, che paralizza La Spezia; la guerra del Golfo; l’attacco alle Torri Gemelle; il turismo selvaggio che minaccia il Golfo dei Poeti, Le Cinque Terre e l’isola del Tino.

Il lirismo delle pagine del romanzo fa emergere i momenti più forti attorno ai quali si ancorano le speranze smarrite di una generazione giovane e i cambiamenti del nostro Paese.

Tema significativo è anche il valore della testimonianza: ciò che è stato non deve ripetersi e non è accettabile rassegnarsi all’orrore delle guerre che continuano a imperversare nel mondo.

Il romanzo ci insegna anche a proteggere, a custodire con amore il legame valoriale della famiglia: incarnata da genitori, nonni e fratelli, infatti, essa ci accompagna, ci aiuta e ci supporta, nonostante le atrocità del mondo esterno potrebbero renderci diffidenti verso il prossimo.

Ma, malgrado la ricerca dell’equilibrio interiore sia un cammino lungo e difficile, che richiede una continua riflessione, il percorso di vita è comunque carico di fascino, anche perché spesso ci fa sentire in comunione, in armonia con la natura.

L’uomo dotato di sensibilità può immedesimarsi nella scrittura dell’autore che, rappresentando con intensità le emozioni di un singolo personaggio, assecondando il flusso di coscienza dei suoi pensieri, permette al lettore di immergersi nella narrazione; l’uso insistito di sequenze descrittive, inoltre, si impone come una sorta di album di fotografie, che consente all’immaginazione di “vivere” a pieno le situazioni narrate.

Il romanzo è scritto in prosa “intima”: i personaggi sono autentici e mostrano, in tutte le sfaccettature, la loro personalità, le storie personali, i moti del loro animo.

Il risultato? Una profonda empatia con il lettore.

Il viaggio di Edipo, dunque, stimola a tal punto l’immaginazione che, in alcuni casi, chi legge vorrebbe vivere le stesse esperienze del personaggio, in altri, invece, vorrebbe esserne assolutamente distante. Edipo, infatti, a volte, anzi spesso, soffre ed è inquieto….

D’altronde, chi non ha mai avuto momenti in cui l’unica soluzione sembrava quella di arrendersi? A Edipo è accaduto. Ma non si è arreso! Può essere, allora, un modello per tutti noi, perché, proprio nelle difficoltà, dobbiamo imparare a consolidare la nostra identità, combattere con le nostre paure, modellare noi stessi, superare gli ostacoli.

Inoltre, il romanzo, pur aprendo un’ampia prospettiva sugli ultimi quarant'anni della storia dell’Italia e del mondo, richiama anche, attraverso l’uso del flashback, le violenze del nazifascismo.

“ Anni Collaterali” non è soltanto un racconto di formazione, ma dipinge un affresco della società italiana, della sua “evoluzione-involuzione”; rappresenta le contraddizioni di quegli anni e il rischio di contaminazione che proprio quei decenni hanno avuto sulla vita di chi, come il protagonista, li ha attraversati.

 Lo stile di scrittura, rigoroso, denso, è comunque sempre stemperato da una sottile e discreta ironia.

Romanzo impegnativo ma suggestionante.

Assolutamente da leggere!

Se proviamo ad immaginare il futuro di Edipo, vediamo il personaggio sereno, in un’età più matura, ma comunque sempre immerso nella lettura e nella musica.

Lo immaginiamo come un uomo forte e centrato, che vive con equilibrio la realtà e, forse, anche con il giusto distacco

 

Domande e Immagini

 

  1. GIUSEPPE pag. 91 «Non sapeva dare un nome, un titolo al suo rapporto con Nancy. Era come un white album. O un black album. Dovevi ascoltarlo tutto. Fidarti. Scoprire a poco a poco le tracce. Anche quelle nascoste. Soprattutto quelle nascoste. Nancy era leggera e pesante al tempo stesso. Sfuggente e ossessiva. Una dea e una mendicante. E lui ne era innamorato» […]

pag. 91 «Edipo aveva la morte nel cuore. Ed era uno straccio […] Si sentiva come una pianta sradicata, un arto amputato […] in realtà Nancy amava l’eroina».

La sensibilità e le forti emozioni provate da Edipo ci hanno particolarmente catturati. Il suo amore nei confronti di Nancy sembra autentico, sembra non offuscato da alcun filtro né condizionamento. Ma Edipo soffre. Tremendamente. Nancy, “dea e mendicante”, ama l’eroina. Vuole l’eroina. Non pensa ad altro ed è capace di tutto, pur di averla. Quella di Nancy è, ovviamente, una “passione” (tra virgolette) insana. Ma ci stupisce l’ostinazione di Edipo, che si configura, nel corso di tutto il romanzo, come profondamente umano: a nostro avviso, la sua forte sensibilità e, in fondo, anche il suo coraggio avrebbero dovuto aiutarlo ad affrancarsi da un sentimento così malato. Ci chiediamo, dunque, se l’amore del personaggio di Edipo per Nancy fosse vero o se, invece, fosse stato, in qualche modo, irretito dal condizionamento della donna, che è una tossica, e trasformato in una vera e propria dipendenza. Nel 1981,  i “Soft Cell” cantavano “Get away from the pain you drive into the heart of me” (passo tratto del singolo “Tainted Love”).

E’ possibile, allora, provare sentimenti amorosi così struggenti da arrivare a viverli in questa maniera? Perché Edipo non riusciva a “fuggire dal dolore portato nel suo cuore da Nancy”?

 

  1. GABRIELE pag. 74 -75 «Edipo sapeva che, prima o poi, il nonno avrebbe ricominciato a parlare, magari raccontando una delle sue storie di guerra. […]Ed ecco la deportazione in Germania, quando lavoravano a mani nude e con i piedi avvolti negli stracci, a venti  sottozero, si litigava per un pezzo di pane, e poi le botte dei secondini, i pidocchi, le malattie. Il nonno, che era riuscito a scappare, una notte senza luna, la fuga nei campi, la luce di quel casolare, i contadini polacchi che lo avevano accolto, nascosto, protetto. Che bello dormire in mezzo alla paglia calda, dopo tutto quel freddo, con le dita dei piedi nere che se aspettava ancora le avrebbero tagliate per la cancrena».

I nonni sono stati, e forse, in alcuni casi ancora lo sono, i testimoni delle storie del cosiddetto “tempo di guerra”, in cui la fame, la morte e la disperazione erano causate dall’aberrante dispotismo totalitario; un tempo, tuttavia, in cui l’odio nei confronti di regimi capaci di fare atti disumani si insinuava anche nell’animo di chi la guerra la faceva e la pativa nello stesso tempo, fino a lacerare e inaridire l’uomo e far emergere, anche in chi in origine era “sano” e innocente, il cinismo e la malvagità. I racconti dei testimoni di guerra sembrerebbero segnare una distanza tra la nostra epoca e quella della seconda guerra mondiale. Chi li ascolta dovrebbe interpretarli come un monito per sé e per le generazioni future alla formazione della coscienza civile. Anche Salvatore Quasimodo lo “urlava” in “Uomo del mio tempo” (ultima lirica di Giorno dopo giorno - 1946): Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue / Salite dalla terra, dimenticate i padri: / le loro tombe affondano nella cenere, / gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore. Eppure, i racconti di guerra non hanno sempre avuto effetto sulle nuove generazioni. Infatti, sempre più spesso, si sente parlare di movimenti neonazisti in Europa, che tentano di dissimulare la verità, usando a pretesto e paravento strategie politiche celebrate in nome del “politicamente corretto” ma che, di fatto, sono sempre più opprimenti. Qual è la sua opinione sulla rinascita di tali ideologie capaci anche di avere proseliti? Come è possibile che alcuni giovani non comprendano la gravità della Shoah? Dimentichino il passato? Decontestualizzino le loro scelte politiche? Qualcuno ha detto: «Sognano un mondo non diverso da quello che sognava Hitler, forse solo un poco più aperto. Sognano un’Europa bianca, con forti muri tutt’intorno». (Christian Schwochow, regista tedesco di “Je suis Karl”).

 

  1. MARCO a) pag. 19 «Lo stereo ad alta fedeltà esoterica, costosissimo, costruito per lui su misura da solerti addetti e da fanatici musicofili di un’azienda straniera, era il suo altare pagano. A nessuno era consentito neanche avvicinarsi. Edipo ci aveva provato, infrangendo le solenni raccomandazioni, facendo girare sul piatto il vinile consunto di Unknown Pleasures per tutto un pomeriggio»

b) pag. 123 «Lo aiutava a spogliarsi e lo immergeva nella vasca da bagno calda di vapore e di schiuma. Lo strofinava tutto e si stupiva della fragilità della sua pelle, dei muscoli, delle ossa. Avrebbe potuto spezzare in due quell’esserino di cristallo che occupava la vasca solo per metà con una lieve pressione delle dita. Il nonno chiudeva gli occhi e si faceva lavare come un animale docile» Edipo incarna, sotto alcuni aspetti, il ruolo del giovane dissidente. Eppure, malgrado sia in conflitto con i suoi genitori, in particolare con suo padre, mostra profondo e tenero affetto nei confronti del nonno. Ma la ribellione dei giovani di quel tempo si materializzava anche nel rifiuto dei valori familiari. Edipo, invece, in tal senso, sembra una voce dissonante, al punto che il suo disagio giovanile viene lenito e, in taluni casi, anche superato, grazie alla relazione forte con il nonno. Come può spiegarci questa apparente contraddizione?

 

  1. ONOFRIO pag. 157 «Gli iracheni in ritirata bruciavano i pozzi di petrolio. La macchina da presa inquadrava centinaia di pozzi in fiamme che svanivano all’orizzonte. Le lingue di fuoco salivavo alte e le colonne di fumo oscuravano il cielo. Fumi di petrolio si riversavano in mare. Il petrolio entrava nelle branchie dei pesci e li soffocava. I cadaveri di pesci affioravano in superficie. Gli uccelli marini agonizzavano con le ali imprigionate dal petrolio. La pioggia di petrolio cadeva sui villaggi, sulle case, sulle scuole, sui bambini e le loro madri. Sui quaderni per i compiti e sul cibo […] Le bombe aprivano crateri sull’asfalto grandi come la pianta di un palazzo. Gambe, braccia, teste saltavano in aria. Chilometri di lamiere contorte, roventi, fuse, sino a Baghdad»

La prosa paratattica, attraverso l’uso di brevi frasi giustapposte, si stampa nella mente del lettore e le crude immagini della Guerra del Golfo appaiono quasi come le foto di un reportage. La prosa, dunque, parla da sé: è una descrizione impietosa di condanna.

Edipo, nella sua visione imperialistica, sa che gli “attori” (i soldati) non sono né oppressori né oppressi, ma semplici pedine di governi rapaci (Iraq e Usa) che mirano al petrolio. Il suo netto rifiuto della guerra probabilmente deriva non solo dal fatto che, crescendo, ha formato una sua coscienza civile, ma anche dai numerosi dialoghi con il nonno, reduce di guerra.

In questo caso, allora, può il personaggio di Edipo rappresentare quell’ampia parte della realtà giovanile degli anni Novanta, non solo scossa dalla guerra in Medioriente, ma in genere avversa ad ogni forma di violenza?

  1. Federico pp. 179-180 «Mi ricordo dov’ero quando il primo aereo colpì le torri gemelle. Il bar era affollato di pensionati […] La seconda torre gemella crollò su se stessa. Un’esplosione di polvere e detriti inseguiva la gente che fuggiva terrorizzata. Ogni centimetro della zona era ricoperto di polvere. Le immagini arrivavano in diretta. Le urla, le sirene degli allarmi e quelle delle ambulanze bucavano lo schermo e si espandevano nell’aria della stanza satura di fumo di sigarette. Poco prima le telecamere avevano inquadrato l’uomo che cadeva. Una figura scura, diafana, che precipitava riflettendosi nella facciata di vetro della torre. Una caduta veloce, un corpo disarticolato. Somigliava ad un pupazzo. Un burattino di uomo ad altezza naturale gettato dalla finestra da un bambino capriccioso.

Nel bar nessuno parlava»

Data la ricorrenza nel romanzo dell’immagine dell’“uomo che cade”, che sappiamo essere il simbolo senza volto di una fotografia (The Falling Man, la cui identità non è mai stata confermata) di Richard Drew (fotoreporter dell'Associated Press), è possibile che essa abbia un significato allusivo e nascosto, come molte altre immagini del libro, che richiama la vita, i comportamenti, le emozioni e i pensieri di Edipo?

 

  1. Niccolò pp. 195-196 «Da quel giorno ci siamo visti sempre. Passavamo un’ora o due insieme dopo la scuola, dipendeva da quanto dovevo lavorare con mio padre e i miei fratelli. Facevamo i compiti, a volte, ma più spesso esploravamo il bosco. Cercavamo nascondigli dove ripararci dalle tempeste e dai briganti immaginari. Tendevamo trappole per animali fantastici. […] Stavamo sempre assieme, io e lei, […] volevamo stare da soli, noi due. […] Imparai che con i suoi libri puoi viaggiare ovunque nel mondo e nella fantasia, imparare cose nuove. Non l’ho mai dimenticato. E lo devo a Clara».

Un amore fatto di parole, ma anche di gesti, di letture condivise e di affinità elettive. Nonostante il passare del tempo e le avversità della vita, anche a distanza di anni, l’amore tra Tullio e Clara, in fondo, non può dirsi finito, perché “torna” (tra virgolette) nei racconti emozionati del nonno (flashback) e nell’incontro imprevisto dopo 50 anni: gli orientali lo chiamerebbero “il filo rosso del destino”, una forza che lega indissolubilmente le anime gemelle. A tal proposito, l’evoluzione della società ha, paradossalmente, determinato, in alcuni casi, un’involuzione: oggi, infatti, accade che i sentimenti siano sviliti e vissuti in maniera superficiale. Sarebbe utopistico, secondo lei, immaginare, nel mondo odierno, dominato dal denaro, dal potere e dal desiderio di gloria, un ritorno autentico del vissuto? Il passato, per chi vive nella società di frenetica odierna, ha ancora forza e significato?

 

  1. Riccardo pp. 219 -220 «Il reparto dove faccio la chemio non è così male. C’è una bella atmosfera, che potrei anche definire allegra. Le infermiere sono gentili, fanno battute, ammiccano, cinguettano […] Le donne entrano furtive, non vogliono farsi vedere con i fazzoletti in testa, qualcuna con la testa pelata, gli occhi incavati e le spalle curve come grucce. Anche gli uomini sono brutti, anche noi siamo magri da fare spavento, con la pelle sottile e scavata, con il cranio ammaccato e calvo. Non è proprio un bel vedere ma in genere non ci facciamo caso. Almeno ci proviamo. […] E͗ un sentimento sopra e sotto l’amicizia, di riconoscimento e condivisione, è come essere naufraghi su una zattera alla deriva nell’oceano» Le parole riportate nel passo letto mirano a dare supporto e consolazione a chi è affetto da malattie o colpito dalle avversità nella vita, fino a trarne un insegnamento, oppure sono una rappresentazione della precarietà dell’essere umano che, impotente di fronte alla crudeltà del destino,  non può fare altro che esorcizzare la propria fragilità?

 

  1. Lorenzo pag. 242 «Il sole è alto nel cielo e ogni cosa è pervasa di luce. Nei momenti di stanca del vento i suoi raggi scaldano il viso. Si sentono i versi degli uccelli marini. Oggi c’è foschia, ma in alcune giornate da qui potrà vedere nitidamente l’arcipelago toscano e la Corsica. Anche il Tenente appare rapito dal panorama che ci circonda. Siamo l’ultimo avamposto terrestre che si incunea nell’infinito. Gli ultimi esseri umani sopravvissuti e perduti nell’incertezza» La quarta parte del romanzo, “Deve essere questo il luogo”, mostra un’evidente prevalenza di sequenze descrittive dell’Isola del Tino, un luogo di evasione, serenità e pace. Qui Edipo si considera solo una piccola parte di un tutto meraviglioso. Il testo richiama la prospettiva panica della comunione con la natura che, paradisiaca, accoglie e conforta il personaggio. La rappresentazione dell’isola è talmente intensa, lirica e coinvolta che il lettore è indotto ad assimilare Edipo con l’autore. È così? C’è stato un periodo della sua vita nel quale ha trovato la sua “Isola del Tino”? La musica, per, lei ha la stessa forza dell’isola del Tino.
  2. Immagini 


 

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